IL TORO DI BASTIAN (storia vera)
ANNI 90, ALTA VALLE STURA
IL TORO DI BASTIAN
(storia vera)
Ma che cosa avrà mai Sambuco per essere così popolare? Sarà perché si stira, placido, tra terra e aria, sul versante solatio della valle? O sarà forse per via del Bersaio, colosso di pietra emerso dalle acque per fare da sfondo al paese e illuminarlo a giorno nelle notti di luna piena? Sta di fatto che aleggia su Sambuco un inspiegabile senso di aristocrazia, come se il destino avesse voluto farne un ricettacolo di vicende fuori dal comune.
In questo contesto ambiguo, l’avvenimento più rilevante fu senza dubbio l’acquisto dell’ultimo toro da parte di Bastian: mandriano magnetico e sulfureo, sempre accompagnato dai suoi cani, da molti considerato un’incarnazione del Sarvan (uomo selvatico, capace di tutto).
In questo contesto ambiguo, l’avvenimento più rilevante fu senza dubbio l’acquisto dell’ultimo toro da parte di Bastian: mandriano magnetico e sulfureo, sempre accompagnato dai suoi cani, da molti considerato un’incarnazione del Sarvan (uomo selvatico, capace di tutto).
La scelta del toro non fu fortuita, e il misterioso legame che presto nacque tra i due andò ben al di là di una semplice complicità. Fu subito evidente, infatti, che se il toro fosse diventato uomo sarebbe diventato Bastian. E Bastian il suo toro.
Era quel toro un animale singolare. Non era nero e nervoso come i tori di Spagna. Non aveva corna affilate come stiletti, né sembrava particolarmente collerico. Certo aveva un collo enorme e le spalle erano avvolte da muscoli terrificanti. Ma era chiaro di cotenna e a volte, se si osservava la mandria da lontano, poteva anche confondersi con le altre mucche.
Un esame attento e uno sguardo ravvicinato rivelavano tuttavia particolari inquietanti. In primo luogo il mantello chiaro non era omogeneo. Sul collo, sulle spalle, sulle natiche e sui testicoli, il biancore bovino sfumava in zone brunite, con riflessi metallici. Ma era soprattutto la goccia scura intorno agli occhi a rivelare l’indole torva dell’animale. Il toro sfoggiava infatti due occhiaie nero-antracite, così grandi e nette da far pensare a un maquillage teatrale eseguito dal diavolo in persona. E invero, il suo occhio esorbitato mandava a tratti bagliori demoniaci di una vertiginosa profondità.
C’erano anche stati dei precedenti. Un giorno che rientrava in paese dal pascolo non lontano, il toro di Bastian aveva visto Alfredo camminare davanti a lui sulla stessa strada.
Bastian, qualche passo dietro al toro, aveva assistito alla scena senza battere ciglio.
Bastian
Però che nome! Gias dle fomne voleva dire, nell’antica parlata provenzale delle montagne, “Alpeggio delle donne” ed era un posto straordinario. L’accesso non era agevole. Dal basso si arrivava tramite un sentiero ripido e umido che tagliava con innumerevoli zig-zag il versante settentrionale del Monte Vaccia. In quel sentiero, non si era ancora entrati che già veniva voglia di uscirne. Eppure bisognava perseverare, salire metro dopo metro, tornante dopo tornante, nella speranza di rivedere la luce, molto più in alto. Sì, perché dopo le tenebre della selva oscura, il Gias dle fomne era la luce, il cielo, il sole, l’aria, lo spazio, il mondo, il vento, la vita, la gioia.
Di donne ce n’erano poche al Gias dle fomne – anzi nessuna. Quale donna sarebbe salita fin lassù? Ma a Sambuco si mormorava che certi giorni – o certe notti – Bastian ricevesse la visita di talune francesine che scendevano al Gias dall’alto, attraverso la Colletta Bernarda. E infatti, ogni tanto, Bastian arrivava in paese con delle camicie nuove a motivi provenzali che si abbinavano perfettamente ad altrettanti foularini, griffati Soulejado, di ottima fattura, sconosciuti dalla nostra parte delle montagne.
Qualche volta un bracconiere raccontava di averlo visto vagare in cima al Ciaval, in piena notte, sotto la luna, senza ragione apparente. Ma il più delle volte le storie dei bracconieri o dei cacciatori raccontavano che la mandria di Bastian era di qua o di là, ma che di Bastian non c’era nessuna traccia, né di qua né di là.
La pesante barriera di larice fu trovata, l’indomani, fracassata e sbriciolata come se qualcuno, non contento di abbatterla, avesse anche voluto calpestarla.
Uscito dal recinto, il toro di Bastian raggiunse la strada sterrata e si allontanò dall’alpeggio caracollando sotto una luna immensa. Non era evaso dalla quiete del Besàut solo per assaporare le delizie di una passeggiata tra boschi e radure incantate. Quella notte aveva finalmente deciso di compiere L’Atto che da tempo giaceva annidato nelle tenebrose circonvoluzioni del suo cervello taurino.
Il toro intanto aveva già percorso tre chilometri di sterrata e si stava avvicinando alla nazionale che porta in Francia. Ecco infatti, a breve distanza, il lungo nastro d’asfalto, scuro e silenzioso. Senza esitazione il toro imboccò la strada nazionale trotterellando come possono farlo nove quintali di carne, ossa, corna, zoccoli e determinazione. All’uscita di un tornante, un valligiano assonnato al volante della sua utilitaria evitò di un soffio un testone d’inferno cui seguiva una montagna di carne inferocita.
Giunto al bivio dove si trovava l’indicazione Sambuco km 0,9 l’animale lasciò la nazionale e si diresse verso il borgo addormentato. All’altezza del cimitero, un raggio di luna fece scintillare i suoi terribili occhi.
Settecento metri più in là, Sambuco dormiva in silenzio, e nel suo letto dormiva Ezio, il robusto nipote di Bastian, rimasto solo in paese dopo la partenza della sorella verso una vita più facile in città e quella del padre verso una casa di riposo della bassa valle.
Non correva, il toro, ma l’andatura era irruente e l’occhio arcigno. All’uscita della Via Curta rallentò decisamente il passo. Non c’erano più dubbi, ormai: la marcia notturna del toro di Bastian stava per concludersi.
Il toro intanto aveva già percorso tre chilometri di sterrata e si stava avvicinando alla nazionale che porta in Francia. Ecco infatti, a breve distanza, il lungo nastro d’asfalto, scuro e silenzioso. Senza esitazione il toro imboccò la strada nazionale trotterellando come possono farlo nove quintali di carne, ossa, corna, zoccoli e determinazione. All’uscita di un tornante, un valligiano assonnato al volante della sua utilitaria evitò di un soffio un testone d’inferno cui seguiva una montagna di carne inferocita.
Giunto al bivio dove si trovava l’indicazione Sambuco km 0,9 l’animale lasciò la nazionale e si diresse verso il borgo addormentato. All’altezza del cimitero, un raggio di luna fece scintillare i suoi terribili occhi.
Settecento metri più in là, Sambuco dormiva in silenzio, e nel suo letto dormiva Ezio, il robusto nipote di Bastian, rimasto solo in paese dopo la partenza della sorella verso una vita più facile in città e quella del padre verso una casa di riposo della bassa valle.
Non correva, il toro, ma l’andatura era irruente e l’occhio arcigno. All’uscita della Via Curta rallentò decisamente il passo. Non c’erano più dubbi, ormai: la marcia notturna del toro di Bastian stava per concludersi.
Un orribile muggito ruppe infine il silenzio della montagna.
Il primo a uscire in strada per vedere che cosa stesse succedendo fu Gioan. Erano circa le tre di notte e alla vista del toro infuriato Gioan si sentì mancare le gambe. L’uomo non era un pivellino e non ci mise molto a capire che bisognava scappare subito. Con un guizzo si buttò al di là della ringhiera che dominava, dall’alto, l’orto dei Bruna.
Gioan
Ezio riuscì a compiere i primi gesti con sorprendente facilità. Il toro sembrava essersi calmato. Giunto sullo slargo aveva volto all’indietro il testone e Ezio aveva incrociato uno sguardo ambiguo. Forse la lunga passeggiata e gli orribili muggiti che ancora riecheggiavano per le viuzze di Sambuco l’avevano un po’ stordito. Forse era entrata troppa luce nei suoi occhi, e adesso non chiedeva altro che rifugiarsi in un luogo buio.
Il toro avanzò di qualche passo, ma sull’uscio si impuntò. Ezio si stava spazientendo: “Ma perché, non stava bene al Besàut quella brutta bestia? Cosa era frullato in quel suo testone? E Bastian, dov’era quello là? Non doveva forse occuparsi delle sue bestie, invece di girar per boschi, di notte, chissà con chi?”
Ezio aveva acquisito la baldanza che hanno gli uomini giovani alle prese con gli animali che credono stupidi. Il suo corpo muscoloso premeva forte contro le natiche del toro: «Pògia! Pògia! Pògia!».
Ezio percorse allora il lato sinistro dell’animale immobile, oltrepassando il collo e la testa. “Queste corna non sono poi così terrificanti”, pensò. Anche l’occhio, bistrato dalla sinistra goccia d’inchiostro, sembrava mansueto in quel momento. Ezio spinse la porta con la mano fino ad aprirla completamente.
Un urto violentissimo sulla schiena lo scaraventò diversi metri più in là, sul fondo della stalla, contro il muro che sosteneva la greppia ancora piena di fieno. Ezio perse conoscenza per qualche frazione di secondo; si riprese, tastò le pietre del muro... Sembrava non capire. Ecco, ora gli sembrava di capire un po’ meglio, ma doveva ancora voltarsi per capire veramente.
Al di là della mole del bestione, attraverso la porta rimasta aperta, Ezio vedeva la salvezza: il selciato della strada, un angolo della casa dei Bruna, poi, più lontana, la frazione Moriglione con il suo campanile splendente di luna. Ma non c’era tempo per le malinconie. L’ultimo pezzo di mangiatoia esplose nell’aria scura della stalla. Ezio fu proiettato contro il soffitto e cadde pesantemente sul pavimento di terra battuta. Un corno gli aveva staccato una larga fetta di cuoio capelluto e il suo orecchio destro penzolava sulla guancia. Ma non c’era nessuno per impressionarsi del sangue che sgorgava dallo squarcio.
Senza fretta il toro si girò di fianco per sferrare l’attacco finale.
L’urto del cranio del toro contro lo scudo improvvisato risuonò come il tocco di un campanone fesso. Ezio incassò la botta.
Cornata dopo cornata, sempre trascinando il bidone davanti a sé, Ezio si era insensibilmente avvicinato alla porta. “Soprattutto non bisogna cadere”, pensò. In strada si intravedevano diverse silhouette di sambucani, ma nessuno si azzardava a entrare nella stalla. L’avevano capito tutti che si trattava di una lite in famiglia e che il toro era venuto dal Besàut per applicare una sentenza.
“Bòng!”, “Bòng!” martellava il cranio del toro di Bastian contro la corazza d’alluminio del povero Ezio, prossimo alla fine, grondante di sudore e di sangue, le ossa fracassate dai colpi che per fortuna si smorzavano un po’ contro la struttura assorbente del bidone.
Ezio era finalmente arrivato sulla soglia della stalla e, con uno sforzo supremo, riuscì a proiettarsi in strada, ad afferrare la maniglia della porta di legno e a chiuderla dietro di sé.
In strada, fantasmi sambucani in pigiama lo raccolsero subito, tutto insanguinato, e lo spinsero fuori tiro, in un riparo dove nessun toro sarebbe mai potuto entrare.
Più tardi, un’automobile lasciò Sambuco con a bordo una grossa forma esanime, avvolta in una coperta.
Ora Bastian regna su Sambuco: un’enorme casa tutta per sé. Lo sguardo è sempre lo stesso: malizioso sotto i riccioli che nemmeno la canizie riesce a debellare.
Ogni tanto, qualche visionario racconta ancora di aver scorto, nottetempo, un toro gigantesco aggirarsi nei pressi del cimitero del paese. Altri l’avrebbero intravisto avanzare pesantemente lungo la strada del fondovalle. Scintille scaturivano dai suoi zoccoli. Bagliori dalle narici. Lampi dagli occhi inferociti.
Forse anche per questo nessuno intralcia la strada a Bastian. Gli uomini lo temono. Le donne lo blandiscono, fingendo un improbabile istinto materno. Ogni tanto scompare per qualche giorno. Nessuno sa dove vada e nessuno glielo chiede.
Il Monte Bersaio e la luna
(Acquerello di Maddalena Poleggi)
***
La sera dell’11 luglio, e tutta la notte seguente, si sentirono dei muggiti strazianti salire dai prati intorno al cimitero. Il toro di Bastian non si dava pace.
Nessuno potrà mai dire dove e quando avvenne il ricongiungimento, né cosa successe in quei brevi istanti. Certo è che Bastian, vivo, da quel sentiero non tornò più.
Ora, ai piedi del Bersaio, è calato il silenzio.
Ciao, Bastian.
Sarà anche stata “vera”, la corrida notturna da cui è nata questa storia, ma fin dall’inizio la narrazione vira nel fantastico, il toro assume tratti infernali e si trasforma nell’esecutore di una sentenza del destino… Il lettore si trova spiazzato, il racconto “vero” sotto i suoi occhi diventa surreale – e di reale non resta che la magia di una scrittura sfavillante di passione e ironia...
RispondiEliminaEsatto. Di vero ci sono i luoghi, le persone e i fatti. Di inventato c’è solo la dimensione fantastica/esoterica con cui mi piace avvolgere i fatti per renderli meno insipidi.
EliminaDa un fatto vero, l'autore sviluppa una serie di sensazioni che avvolgono il lettore in crescendo e lo immergono in un mondo misterioso a contatto con le forze ancestrali della natura
RispondiEliminaL’ho trovato molto scorrevole, si legge tutto d’un fiato per vedere come andrà a finire con questo Toro. Conoscendo luoghi e personaggi ha dato un valore aggiunto alla mia lettura.
RispondiEliminaBravo Silvano !
Mi sono emozionato !! Che ricordi !!!
RispondiEliminaÈ un racconto molto bello, narrato come fosse una favola. Il paesaggio notturno viene magicamente trasformato dalla luce della luna. Il toro gigantesco e minaccioso ricorda il mito del minotauro, in cui Ezio è la vittima sacrificale. Infine Bastian è l'eroe salvifico, colui che può cambiare il destino degli uomini. Meravigliosa favola Alpina
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