DORSALE ATLANTICA (da  ”Xeno“)

(Stralcio eliminato:  ridondante, troppo tecnico e poco coerente con lo sviluppo del testo)


La catena di montagne più lunga del mondo si stira nella direzione nord-sud su più di quindicimila chilometri. L’esordio è trionfale: enormi calotte glaciali si innalzano nell’aria gelida dell’Islanda, ben al di sopra del circolo polare artico. La catena degrada poi verso sud-ovest, si addolcisce in colline di torba e di erica, va a servire da supporto basaltico alla città di Reykjavík e si sfilaccia infine in svariati promontori rocciosi battuti dalla risacca dell’Atlantico Nord. 

Da quel punto in poi la catena sprofonda sui fondali ancora relativamente bassi del Bacino del Labrador. In quei luoghi, l’altezza delle sue montagne si aggira intorno ai millecinquecento metri — poco meno della profondità oceanica media — sicché, guardandola dall’alto, le cime sommerse appaiono ancora, in trasparenza, in acque dal colore turchese chiaro. Ciò non vale per i loro fianchi che sprofondano invece in zone pelagiche dal colore nettamente più cupo.
  
Superato lo zoccolo del Bacino del Labrador, la catena di montagne — che ormai può essere chiamata con il suo vero nome: Mid Atlantic Ridge, o Dorsale Medio-Atlantica — si inabissa nel Bacino dell’Europa occidentale i cui fondali sono ormai scesi intorno ai quattro-cinquemila metri. Ma la Dorsale Medio Atlantica, da buona catena alpina, ha orrore dell’acqua fonda e cerca in ogni modo di spingere la cresta il più in alto possibile. Alla latitudine dell’Irlanda — ma siamo ormai in pieno Oceano — il mare è profondo quattromila metri, eppure le cime della dorsale si snodano a meno di settecento metri di profondità: si direbbe che cerchino di uscire dall’acqua per essere nuovamente visibili, scalate dall’uomo, fotografate dai turisti. E infatti, dopo centinaia e centinaia di chilometri di strisciamento subacqueo, le cime della dorsale risalgono verso la superficie: seicento, quattrocento, cento, cinquanta metri di profondità… È fatta! Un lampo, un affioramento, uno scoglio coperto di guano, poi eccole illuminarsi tutte all’aria tonificante dell’Oceano Atlantico, chiamarsi “Arcipelago delle Azzorre”, esagerare perfino, spingendosi molto più in su del livello del mare, fino a prendersi per montagne vere, con un’impennata a 2.350 metri sulla Punta de Pico, battuta dagli alisei.
 
Ma l’emersione dura poco: sempre scendendo verso sud, dopo un centinaio di chilometri di tentativi disperati, la Dorsale Medio-Atlantica sprofonda nella zona abissale compresa tra il Bacino dei Sargassi e il Bacino del Capo Verde a una profondità superiore ai settemila metri. La povera catena alpina è sopraffatta e scompare del tutto. Certo, cerca ancora di emergere, si stira disperatamente in altezza e così facendo diventa “Monviso”, diventa “Cervino”, diventa “Monte Bianco”, ma le loro cime, non più battute dal vento, svettano in acque tenebrose e immote, abitate da pesci abissali sconosciuti, dimenticate da tutti. 

Nel suo profondo sommozzare al largo dell’Africa Occidentale la Dorsale si incurva. È molto, molto lontana dalla costa africana, ma l’arco che compie sugli invisibili fondali che si stanno ormai avvicinando all’Equatore è strettamente parallelo all’arco panciuto del continente africano. Si direbbe quasi che quest’ultimo voglia tenere la Dorsale a distanza, forse applicandole un campo repulsivo, forse mandandole imperiosi ordini subacquei: «Sta’ alla larga dai miei deserti, dalle mie regioni sabbiose! Io ti conosco: se ti lasciassi avvicinare, tu cominceresti a strisciare sui fondali che risalgono verso le mie coste, usciresti in superficie, ti ergeresti ad altezze tali da fare ombra alle mie terre assolate, soprattutto verso sera, quando il sole tramonterebbe dietro le tue cime innevate. Tu saresti ancora capace di darmi acque purissime, e torrenti montani, e boschi incantati… e così non sarei più Africa, non sarei più io, saresti solo tu, bella e forte, grondante d’acqua, tutta lucente di conchiglie…».

Il misterioso percorso parallelo tra la Dorsale e la costa africana continua verso sud. Laddove il pancione dell’Africa Occidentale finisce e la costa diventa praticamente orizzontale; laddove detta costa si slancia nuovamente verso sud, con un arco gigantesco che degrada verso l’ultimo segmento d’Africa — migliaia di chilometri quasi verticali che puntano decisamente verso l’Antartide —, che cosa fa la nostra Dorsale Oceanica scomparsa nelle fosse oceaniche? Pur tenendosi a debita distanza, continua a seguire con precisione sorprendente il disegno della costa africana. Certo, si offre ancora il lusso, qua e là, di spingersi così in alto da tingersi nuovamente dei colori leggeri che hanno i bassi fondali. Di creare isolotti che sporgono appena la loro cresta fuori dell’acqua. Ma nell’insieme la Dorsale Oceanica rimane tristemente sul fondo, invisibile ai più.     
Giunta infine in vista dei primi ghiacci dell’Antartide, dopo quindicimila chilometri di disperata marcia sul fondo del mare, la Dorsale Medio-Atlantica va definitivamente a morire su un fondo di quattromila metri, allargandosi in un enorme massiccio subacqueo che spinge la sua oscura calotta sedimentaria fino a settecento metri sotto il livello del mare.

La Dorsale Medio-Atlantica non è l’unica catena di montagne condannata alla solitudine dell’abisso: molte altre se ne stanno acquattate sul fondo di tutti gli oceani del globo. Eppure sarebbe un errore considerarle solo come montagne subacquee, prive di finalità fatta salva quella di un’istintiva, oscura tendenza a risalire alla luce. Le dorsali in questione sono entità molto più complesse, dotate di una vita colossale e di un loro disegno tenebroso.



Un’analisi ravvicinata della Dorsale Medio Atlantica rivela infatti le seguenti particolarità. Per lunghi tratti, la catena presenta una larga fenditura longitudinale, dai fianchi ripidissimi e profonda tra i millecinquecento e i duemila metri. Come se la Dorsale originaria si fosse spaccata in due, nel senso della lunghezza, per lasciare al centro una voragine profonda. Sul fondo della gola occhieggia, luminescente, un nastro di lava. La lava incandescente è in contatto con l’acqua gelida del fondo dell’oceano, ma non c’è niente che ribolle, non avviene nessuna esplosione. Laggiù l’acqua convive con il fuoco.

In realtà, una Dorsale oceanica può essere paragonata a una fila ininterrotta di vulcani sottomarini in eruzione, ma a quelle profondità la pressione dell’oceano è talmente grande che l’eruzione è costantemente soffocata. Le dimensioni del fenomeno sono difficili da immaginare. La lava, che non può salire dal fondo della fossa in cui la pressione dell’oceano la tiene confinata, preme sui suoi bordi e sotto l’effetto di quella forza titanica la fossa si allarga, i bordi si allontanano, e mentre si allontanano nuova lava cerca di risalire le pareti della fossa, ma così facendo solidifica, diventa fossa lei stessa. 

E la cosa va avanti da milioni di anni, da miliardi di anni, da quando le terre emerse erano un solo continente, la Pangea, un enorme zatterone tutto scricchiolante di faglie attraverso cui la lava eruttava verso il cielo. E le eruzioni durarono per un tempo lunghissimo, fino a quando le faglie fiammeggianti si allargarono talmente che l’oceano irruppe, e levò in cielo immensi pennacchi di vapore, per centinaia di milioni d’anni, e le faglie diventarono larghe e profonde, e anche l’oceano divenne sempre più profondo e sempre più forte, come una mano schiacciata contro una bocca che vuole urlare, ma da cui fuoriescono grida sempre più flebili… fino a quando la mano diventa talmente imperiosa che mette tutto a tacere. 
A tacere, sì; ma la forza della lava non la si può contenere, e allora la bocca si allarga in silenzio, sotto il mare, e così, nel corso dei miliardi di anni la Pangea si spezzò in diverse zolle divergenti, spinte da una forza centrifuga che non era altro che la forza bestiale della lava, e l’Africa divenne Africa, e l’America divenne America, e l’Europa Europa… 

Diventa ora più facile capire quale sia la lunga storia della Dorsale Medio Atlantica. Guardando bene si vede subito che la Dorsale, che corre parallela alla costa europea dapprima e a quella dell’Africa poi, corre anche parallela alla costa delle due Americhe. Anzi, si capisce, adesso, che l’Europa e l’Africa erano un tempo in stretto contatto con le due Americhe, e che qualcosa — ma ormai sappiamo cosa — le ha lentamente fratturate e separate, e come la frattura sia diventata, via via, fiordo, golfo, mare, oceano. Diventa ora più facile capire il maestoso veleggiare dei continenti, delle terre che noi chiamiamo “ferme” ma che si muovono tutte, lentamente, inesorabilmente…

Ma la descrizione non è ancora finita. Manca ancora un tassello.
Corre l’anno 1977, e un sottomarino si è portato alla verticale di una di queste fosse. A bordo del sottomarino ci sono tre uomini, tre scienziati che vogliono compiere un’impresa mai compiuta: esplorare il fondo della fossa. 
Il sottomarino comincia a scendere nelle acque scure. La discesa continua ormai da diverse ore. Nelle profondità oceaniche, nere come pece, un raggio di luce illumina a volte un pesce abissale, stranito dall’insolito lampo. Verso i tremila metri si accendono tutti i potenti fari del sottomarino. Da un oblò tondo posto sul fondo del batiscafo, un faro lancia a tratti un cono di luce verso l’ormai prossimo fondale. Il sottomarino sta scendendo lungo una parete rocciosa quasi verticale, una delle pareti della fossa. Il sonar annuncia tremilacinquecento metri sotto il livello del mare. Il fondo non è dunque lontano, e infatti la parete ha iniziato a inclinarsi, obbligandolo ad allontanarsi. Pochi metri più in basso il faro illumina il fondale. Sono arrivati. 
       

Il fondo della fossa è sconvolto: pieghe, torri rocciose, pozzi profondi, spaccature. Da queste spaccature giungono chiarori aranciati: è la lava in fusione, lava recente che i sedimenti non hanno ancora coperto di uno strato opaco alla luce. La lava non fuoriesce dalle spaccature: i vulcani sotterranei — perché di vulcani si tratta — non lanciano la lava verso il loro cielo di acqua nera. La pressione dell’oceano li tiene a bada.

Il sottomarino continua la sua ispezione orizzontale. D’un tratto, alla luce dei fari frontali, appaiono una serie di comignoli. Alcuni sono alti pochi metri, altri invece sono altissimi e dai loro fumaioli sgorga un fumo grasso e nero. Gli scienziati li chiamano subito black smokers, “fumaioli neri”, e quel nome resterà per sempre. Il fumo che sale è in realtà una colonna d’acqua caldissima, a 350°C circa. A quelle pressioni l’acqua non può bollire e la massa fredda dell’oceano la raffredda rapidamente facendo precipitare tutti i suoi veleni: gas sconosciuti, sostanze e composti a base di zolfo, molti metalli pesanti: ferro, manganese, arsenico… Nei dintorni dei black smokers l’acqua è un intruglio immensamente tossico. Per fortuna non c’è nessuno per berlo, nessuno per intingervi il dito. 

Nessuno? I tre scienziati del sottomarino non sono alla fine delle loro sorprese. Ecco che i fari del sottomarino illuminano, alla base di un black smoker torreggiante, un groviglio di entità ondulanti. Sono vermi: vermi giganti, lunghi diversi metri, rossi e grassi, coperti di un
 

astuccio roccioso da cui fuoriescono per contorcersi, copulare, spargere il loro sperma nell’acqua tossica del fondo. Esseri viventi nati da una chimica aliena. Giant worms li chiamano: “Vermi giganti”, e quel nome sarà il loro battesimo. Vicino ai Giant Worms brulicano aragoste giganti, anzi, quasi-aragoste, con il corpo fatto di zolfo e di arsenico, esseri alieni pure loro, come le enormi conchiglie che chissà quale mostruosa perla celano nelle loro fauci.

Il sottomarino si sta aggirando all’origine di tutto. All’origine delle distese oceaniche create dalla pressione divergente della lava, all’origine della chimica degli oceani create dai milioni — miliardi? — di black smokers che vomitano nei loro oscuri fondali sali minerali e gas sconosciuti sulla terra, all’origine di una vita alternativa, impensata e impensabile, che apre le porte a idee di vita in atmosfere irrespirabili, in gas roventi e tossici... Per il momento il più grande black smoker repertoriato si trova nella Dorsale medio-atlantica: una torre di trecento metri di altezza e di duecentocinquanta metri di diametro che vomita un intruglio infernale a una profondità inferiore ai mille metri. Alle porte di casa, insomma. Ma pochissime dorsali sono state fino a oggi esplorate.

Quale tenebroso destino stanno riservando agli uomini di carne rossa, fatti di acqua pura, di luce solare e di ossigeno, i milioni di invisibili black smokers che da miliardi di anni avvelenano il fondo degli oceani?

Ogni tanto, qua e là, a fior d’acqua sulle sconfinate superfici oceaniche, strane bollicine esplodono nell’aria satura di aromi marini. Forse sono solo bollicine d’aria catturate e riemesse dal rimescolio dell’onda. Eppure — ma forse si tratta solo di una suggestione — a volte sembrano brillare di una luce sinistra prima di dissolversi definitivamente nell’aria.   
 
 

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